15 Ottobre 2025

Cinema romani: punto e a capo

dalla rubrica ARGOMENTI

L’ultimo evento che ha riguardato le sale cinematografiche della capitale è stato il convegno “dal dire al fare” dell’11 aprile 2025, organizzato dall’Ordine degli Architetti di Roma, che ha fatto seguito al precedente, sempre sullo stesso argomento, del 16 ottobre 2024. Questo tema – il recupero delle sale cinematografiche è già stato affrontato su riviste del settore architettura e dai media, che hanno riportato interviste di produttori, registi, attori. Si è anche costituito, in modo spontaneo e informale, il “comitato SOS sale cinematografiche di Roma”, con capofila Italia Nostra Roma, al quale hanno aderito IN/Arch Lazio, DO.Co.MO.Mo., associazioni, esponenti dello spettacolo, giornalisti, professionisti, cittadini. Il fine del comitato è la salvaguardia delle sale cinematografiche romane, in particolare delle quarantuno chiuse da oltre dieci anni a rischio demolizione per la Legge Regionale 171, prossima a essere pubblicata. È una salvaguardia “allargata” che, partendo dall’edificio, coinvolge la funzione della sala e in parte il settore cinema. Punto e a capo perché il 5 aprile 2025 un’articolata e dettagliata relazione, firmata dalla Soprintendente Daniela Porro, ha smontato le modifiche delle norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore Generale. Dal convegno OAR non sembra che siano emerse novità legislative che possano incidere in maniera determinante sulle sale cinematografiche. Condivisibili invece le intenzioni della Soprintendenza di portare avanti la Direttiva del 2014, che puntava al censimento di tutte le sale cinematografiche. Questo primo rilevamento consentirebbe un piano puntuale che tracci inizialmente la strategia per il recupero delle circa quaranta sale cinematografiche dismesse rapportate al contesto urbano in cui sono collocate. Una legge che genericamente parli di percentuali o di demolizione non può andare bene in tutti i casi, servono invece proposte per singolo edificio. Bisogna fare una riflessione pragmatica su che cosa era una sala cinematografica: un’attività commerciale d’intrattenimento pubblico, magica come poche, dove edificio e film esistono perché vivono indissolubilmente uno in funzione dell’altro ed entrambi in funzione del pubblico, unico cliente di quest’attività, che pagava il biglietto per emozionarsi, immedesimandosi nelle immagini del grande schermo. Quando uno di questi tre elementi viene a mancare – il pubblico – viene a mancare la sala cinematografica nella sua accezione di luogo nato per la settima arte. È una realtà che non esiste più e non può nemmeno rinascere. Oggi, immaginare un sold out in un cinema di 800 posti per una settimana è assai raro. Oggi queste sale chiuse sono degli immobili con un proprietario che non è necessariamente un esercente. Oggi la riapertura di una sala cinematografica, mono o pluri-schermi, comporta degli investimenti elevati, anche se si allestiscono attività collaterali a beneficio dell’attività di proiezione e con le quali non è certo che il pubblico, dopo aver mangiato un tramezzino, vada a vedere il film. È l’esercente, con la gestione della programmazione e la qualità dei film, che porta il pubblico in sala. L’esercente “sceglie” i film dal distributore e li proietta nelle sale che gestisce.

A sinistra, la grande sala del Cinema Airone, Adalberto Libera, Leo Calini, Eugenio Montuori, Roma, 1953/1956; a destra, la facciata del Cinema Maestoso, Riccardo Morandi, 1957

Insomma è un processo economico e culturale strettamente congiunto e complesso che termina nella sala cinematografica. Se si vuole recuperare le sale cinematografiche come attività economiche, culturali e sociali, compartecipi della rigenerazione urbana, occorre che siano attività commerciali autonomamente sostenibili. Roma è un caso complesso; secondo alcune stime e con il beneficio d’inventario, ci sono settantasette cinema attivi, quarantatré chiusi, sessanta trasformati, otto demoliti. Dal punto di vista storico e architettonico la sala cinematografica va vista come parte di una serie di altre opere con medesima funzione, eseguite da diversi autori in un comune clima culturale; tutte assieme costituiscono un ben riconoscibile segmento del patrimonio del ‘900 romano. L’intervento di aggiornamento e restauro va inquadrato oltre i limiti materiali della struttura, alla dimensione urbanistica. Si parla di “restauro urbano” prima che architettonico, anzi, quest’ultimo non avrebbe alcun significato se non rapportato alle esigenze economiche, funzionali, sociali e gestionali dell’opera e se quest’ultima non fosse riferita al contesto urbano e alle sue successive trasformazioni. Con l’avvento delle multisale e poi dei multiplex si perdono le caratteristiche architettoniche della sala cinematografica, il vuoto imponente dei cinema mono-sala da 2.000 posti, come Giulio Cesare o Maestoso, non è più sostenibile economicamente. Eppure, giustamente, nel caso del cinema America, 700 posti, tra le motivazioni del vincolo imposto dal Ministero dei Beni Culturali, oltre alle decorazioni, si cita “…in particolare la messa a punto della tipologia architettonica del cinema mono-sala legato al fenomeno della fruizione cinematografica popolare…”. Il “grande vuoto” della mono-sala è una caratteristica, addirittura un elemento architettonico, che gli architetti in fase progettuale devono valutare in termini di memoria, di segni, che non facciano dimenticare l’edificio originale. Non è facile ma la memoria di un luogo, come bene immateriale, va conservata. Anche nell’ambito del restauro conservativo e filologico, dove possibile in quelle poche sale rimaste intatte o quasi, sarà complesso coniugare le funzionalità derivanti dalle nuove esigenze del mercato e la storia dell’edificio.

Questo articolo è pubblicato in l’industria delle costruzioni 497-La città che accoglie – giu/nov 2025

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