Le politiche urbanistiche tradizionali,
a Roma come altrove, si dimostrano inadeguate
a interpretare la condizione della città e incapaci
di generare qualità urbana.
La gestione
urbanistica della città è bloccata sul vecchio
paradigma della rigenerazione come strumento
di politiche edilizie incrementali e su regole
obsolete, talvolta inutilmente aggiornate e
sempre concepite in forma agopunturale a
sostegno di un palinsesto di incremento delle
nuove cubature. Negli ultimi dieci anni Napoli ha
la percentuale più alta di edifici residenziali
costruiti (4,5%), seguita da Roma (3,9%) e Milano
(1,5%). E Roma è al primo posto per indice di
espansione edilizia rispetto agli anni ’90 (5,7%).
Questo è il risultato apprezzabile del Piano Regolatore Generale del 2008 nell’era della
transizione ecologica.
Nelle crisi sociali, climatiche e ambientali che il
mondo sta affrontando, è fondamentale
sostenere un cambiamento profondo del modo
in cui si pensa e si progetta la città.
Altre grandi capitali e metropoli mondiali lo
stanno facendo o lo hanno già fatto.
In Francia Grand Paris mira a ridurre la
frammentazione spaziale e sociale. In Spagna a
Barcellona il progetto Superilles parte dalla
volontà di diventare una città più sostenibile, con
il traffico automobilistico ridotto al minimo.
In Corea del Sud Seul sta sperimentando
il Green New Deal con il Far Game, un
progetto sulla città intervenendo solo sugli edifici
esistenti, con superfetazioni e ampliamenti su
misura, caso per caso, e la rigenerazione
ambientale del Cheonggyecheon Stream. Negli
USA a New York il Big U, una barriera verde
multifunzionale attorno a Lower Manhattan,
combina la protezione contro le inondazioni e
nuovi spazi comuni. In Cina a Liuzhou e in Messico a Cancun due
progetti analoghi
prevedono la rigenerazione urbana come Forest
City per assorbire CO2 e migliorare la qualità
dell’aria, contribuendo alla biodiversità con un
sistema di infrastrutture per il riciclo delle risorse.
Si tratta di grandi progetti urbani visionari per la
transizione ecologica. Sono visionari nel senso
eroico di una concezione nuova e radicale della
vita e dello spazio fisico della città, non perché
siano in qualche modo utopici o irrealizzabili.
Sono grandi progetti rivolti a promuovere il benessere sociale, a rafforzare il
senso di appartenenza dei cittadini, alla qualità
dell’ambiente naturale, all’adattamento ai
cambiamenti climatici. In una condizione che si
potrebbe dire metabolica, questi grandi progetti
una volta raggiunto un obiettivo specifico
possono rilanciare stabilendo un traguardo
nuovo e di livello superiore.
Anche Roma ha bisogno di nuovi paradigmi
sociali e paesaggistico/ambientali per affrontare
il cambiamento che il tempo impone.
Le vie consolari sono il grande catalizzatore della
forma e del patrimonio archeologico e
paesaggistico di Roma. Raccolgono
intorno a sé gli
spazi comuni più rappresentativi della città, i suoi
monumenti, i grandi spazi paesaggistici dell’Agro
Romano, i possibili rifugi climatici.
Rappresentano l’identità e il senso di
appartenenza dei cittadini a una sorta
di disabitato piranesiano che definisce il valore
dei loro paesaggi, dal centro alle periferie. Se la Roma di domani si fonda sull’eredità
di quella che è sempre stata, le consolari sono le
grandi infrastrutture verdi e fissano il significato
della città. Sono l’occasione per riorganizzare il
sistema urbano della mobilità. Sono il
monumento dinamico che definisce la figura
metabolica della Città Eterna.