4 Aprile 2022

Claudio Marcello e le sue dighe. “Italian Style” alla scala del paesaggio


Negli anni della Ricostruzione e del miracolo economico si realizzano in Italia moltissime dighe di sbarramento per la produzione di energia elettrica. Come spesso capita nella storia dell’ingegneria italiana, alcune assumono un carattere unico e identitario, riconosciuto nel panorama internazionale: sono quelle disegnate da Claudio Marcello. Marcello ha dato addirittura il suo nome a un tipo di diga. Succede raramente che una tipologia strutturale si chiami con il nome dell’ingegnere che l’ha inventata. È noto il ponte Maillart, la seggiola Gerber, la trave Vierendeel: e poi c’è la diga Marcello, a gravità alleggerita. Marcello è praticamente sconosciuto tra i non specialisti, ma il suo lavoro è stato un riferimento mondiale negli anni ‘50 e ‘60 e silenziosamente ha contribuito al successo della Scuola italiana di Ingegneria: merita quindi di essere “riscoperto”. Claudio Marcello nasce a Forlì il 24 febbraio 1901. Nel 1924 si laurea in Ingegneria Civile Idraulica a Pisa e si trasferisce a Milano, dove comincia a lavorare nella società di progettazione di Angelo Omodeo, un pioniere della tecnica idroelettrica. In quegli anni è sempre più chiaro che senza energia non ci può essere sviluppo ma l’Italia è priva di carbone e di petrolio. Per questo il “carbone bianco”, l’acqua, è in quel momento l’unica valida risorsa alternativa. Bisogna sfruttare i tanti fiumi della penisola: Omodeo è tra i primi teorizzatori del “piano di bacino” che prevede lo sfruttamento di più bacini idrografici, soprattutto quelli montani, in modo coordinato. La gavetta di Marcello alle dipendenze di Omodeo inizia all’estero. Prima in Unione Sovietica, dove lo studio offre consulenze per valorizzare le grandi risorse idriche russe. Poi, quando l’amicizia italiana con i sovietici finisce, Marcello lavora a progetti in Etiopia. Nel 1937, la svolta: Omodeo si ritira dall’attività per motivi di salute, chiude lo studio e Marcello è assunto come direttore dell’Ufficio Costruzione Impianti Idroelettrici della Edison. La Edison, fondata nel 1882, con le sue controllate è in quegli anni la maggiore società di produzione di elettricità in Italia: si contende il primato con la SADE (Società Adriatica di Elettricità), la SME (Società Meridionale di Elettricità) e la SIP (Società Idroelettrica del Piemonte). Nella Edison Marcello farà tutta la sua carriera fino al 1963, progettando in circa 25 anni più di 30 dighe in Italia e una decina all’estero: un numero incredibile giustificato solo dal parallelo enorme sviluppo del settore, tra la fine della guerra e il miracolo economico, quando il Paese innesca il suo processo di industrializzazione ed è vorace di energia. Poi, dal 1° gennaio 1964, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica sancita per legge nel 1962 e l’istituzione dell’Enel, tutte le industrie elettriche private vengono assorbite dallo Stato. Le dighe e le centrali sono espropriate e con gli indennizzi le società investono in altro: l’Edison si fonde con la Montecatini creando la Montedison, attiva nella chimica; la SIP si dedica all’esercizio telefonico e la SME all’industria alimentare mentre la SADE è travolta dal disastro del Vajont. Marcello diventa consulente operativo dell’Enel, poi nel 1967 lascia per limiti d’età. Scompare due anni dopo, il 9 gennaio 1969, e con lui l’identità della progettazione italiana di dighe. I primi lavori che Marcello segue per la Edison prima della seconda guerra mondiale sono relativi alle dighe di Agaro e di Morasco, realizzate dalla ditta Umberto Girola: sono dighe del tipo “a gravità massiccia”, le più diffuse. In seguito Marcello progetta anche dighe ad arco, tra cui quella di Santa Giustina, sul fiume Noce, nella Val di Non, in Trentino, costruita tra il 1946 e il 1950, alta 152 metri: la più alta d’Europa al momento della realizzazione. E sperimenta anche la tipologia di dighe a doppia curvatura, tra cui quella spettacolare nella Valle di Lei, sopra Chiavenna, proprio al confine con la Svizzera, costruita tra il 1957 e il 1960. Il modello, preparato in scala 1:66 all’ISMES – l’Istituto di Bergamo specializzato nelle prove per la verifica del complicatissimo comportamento statico – si direbbe una scultura, dalla linea dinamica ed elegante. Nella realtà, è gigantesca: 690 metri di lunghezza, alta 143 metri, molto più del grattacielo Pirelli e 10 volte più lunga. Paradossalmente non sono però le dighe ad arco o quelle a doppia curvatura, pure così maestose, a far diventare Marcello famoso nel mondo, ma quelle di sua invenzione: la diga “tipo Marcello” e poi la diga in blocchi di calcestruzzo, brevettata nel 1954.

Come è fatta una diga a gravità alleggerita?

Quando Marcello comincia a lavorare per la Edison, nel 1937, in Italia vige l’autarchia, quel regime di autosufficienza dall’estero che è la risposta del Fascismo alle sanzioni della Società delle Nazioni per l’invasione dell’Etiopia. Bisogna dunque risparmiare, i materiali soprattutto. Marcello immagina una diga a gravità, di quelle classiche, e per ottimizzare l’impiego di cemento la svuota all’interno. Poi, invece di usare la consueta sagoma del triangolo rettangolo, la sua diga diventa un triangolo isoscele. In questo modo l’acqua, che spinge sul paramento di monte, lo sormonta e quindi lo stabilizza. Marcello ha giocato solo con la geometria: la sua diga isoscele e cava è però molto vantaggiosa, sia dal punto di vista statico che dal punto di vista economico. Il risparmio di calcestruzzo, rispetto a un’equivalente diga a gravità tradizionale, raggiunge percentuali fino al 30%, con un’economia di circa il 20% sui costi di costruzione. È un po’ più difficile da fare: meglio così, il cantiere darà lavoro a più operai. Ma non basta: Marcello rifila tutto accuratamente per ridurre gli sprechi. La sua diga è fatta accostando uno dopo l’altro tanti speroni uguali, spessi circa 20 metri ciascuno.

A sinistra: diga di Ancipa sul fiume Troina a gravità alleggerita “tipo Marcello”, 1949-1952. Veduta da valle. A destra: diga di Bau Muggeris a gravità alleggerita “tipo Marcello” per gli impianti dell’Alto Flumendosa, 1948-1949.

Ogni sperone è sagomato con il minimo di materiale: le pareti si riducono di spessore, si inclinano, si allargano solo dove serve. Il paramento di monte, poi sommerso dall’acqua, rimane semplice, liscio; quello di valle, invece, è la facciata della diga, la sua immagine, e Marcello la lavora, la scolpisce, la piega: l’esito è il muro fortificato di una città, con i suoi bastioni, i torrioni, i merli, le scarpe. Una fortezza d’acqua: è un’immagine muraria, possente, satura di storia. Ma in realtà è anche una forma avveniristica, dal sapore futurista: nella sequenza degli speroni altissimi si materializzano i disegni di Antonio Sant’Elia, gli studi del 1913 per le centrali e le condotte forzate, in cui si mescolano ingegneria, visionarietà, energia, lirismo. Il futurismo, in effetti, si è nutrito di ingegneria e l’ingegneria, con le opere di Marcello, ricambia. 
Nel dopoguerra, prima di affrontare i lavori più impegnativi, Marcello fa una “prima prova” della sua invenzione in Sardegna, dove la produzione di energia idroelettrica è ancora in gran parte affidata alla diga di Santa Chiara sul Tirso, progettata da Omodeo e da Luigi Kambo e completata nel 1925. Già prima della guerra si era deciso di costruire un impianto nella provincia di Nuoro, sbarrando il Flumendosa. Marcello recupera i vecchi progetti per gli impianti ma la diga la ridisegna completamente e diventa a gravità alleggerita: la diga di Bau Muggeris, costruita tra il 1948 e il 1949 dall’impresa Lodigiani. Poi ne progetta una anche per la Sicilia, per conto dell’Ente Siciliano di Elettricità (l’ESE), un’istituzione pubblica fondata nel 1947 che ha in concessione lo sfruttamento idroelettrico dei fiumi dell’isola. Uno dei progetti più ambiziosi dell’ESE prevede lo sfruttamento dei bacini del Salso e del Simeto, grazie a una serie di dighe: la prima a essere realizzata è proprio quella di Ancipa sul fiume Troina. L’opera è ben più monumentale di quella sarda: 108 metri di altezza. Il cantiere, complicato ma molto ben organizzato dalla Lodigiani, che si specializza nella soluzione a gravità alleggerita, comincia a settembre del 1949 e, nonostante la mole dei lavori, finisce a novembre del 1952.
Nello stesso 1949, sulla punta più a nord dell’Italia, si avvia anche il cantiere della diga del Sabbione, questa volta affidato all’impresa Girola. La diga si trova a 2.500 metri sul livello del mare e sbarra la conca di un ghiacciaio che durante l’inverno è sempre stracolmo di neve. I lavori si possono portare avanti solo durante la bella stagione, tra inizio giugno e fine ottobre. Le baracche del cantiere sono così isolate che saranno donate, alla fine dei lavori, a un laboratorio per l’osservazione dei raggi cosmici grazie al quale il fisico Carlo Rubbia, poi premio Nobel, svolgerà una parte della sua tesi di laurea. La costruzione di questa “diga sul ghiacciaio” è raccontata dal giovanissimo Ermanno Olmi in un cortometraggio girato per la Edison, dove lavorava la mamma che lo aveva fatto assumere, ancora studente, come fattorino; poi gli avevano affidato le proiezioni cinematografiche per gli operai e, da lì, aveva trovato modo di girare filmati aziendali sui cantieri. Sulla diga del Sabbione esistono addirittura due documentari, da dieci minuti ciascuno, montati in tempi diversi: uno più amatoriale, l’altro con musiche originali scritte da Pier Emilio Bassi e commentato dalla voce impostata di un lettore professionista. Olmi si concentra sul lato umano del cantiere, popolato da operai provenienti da ogni regione d’Italia, che vivono per mesi in alta montagna, lontani dalla famiglia e, mentre mette a punto la sua originale poetica cinematografica, ci regala un documento preziosissimo sui modi della costruzione. Fino al 1962, Marcello realizza altre 7 dighe a gravità alleggerita: 3 sulle cime lombarde della Val Camonica, tra cui quella di Pantano d’Avio, costruita dalla Salci, uno dei serbatoi italiani più alti sul livello del mare, e la diga di Venerocolo, durante il cui cantiere, in una pausa invernale, Olmi gira il suo primo lungometraggio, “Il tempo si è fermato”, che ha come protagonista proprio il guardiano della diga; poi, per la Società Idroelettrica dell’Alto Chiese, la piccola diga di Malga Boazzo e la diga di Malga Bissina: quest’ultima, con 561 metri di lunghezza e 87 metri di altezza, è lo sbarramento a vallata larga tra i più suggestivi del mondo, complice naturalmente il paesaggio magnifico.

Dettagli esecutivi degli elementi cavi di una diga a gravità alleggerita “tipo Marcello”. Diga del Sabbione in Val Formazza.

Poi tre dighe “tipo Marcello” si fanno anche all’estero: una in Brasile, una in Grecia e una in Spagna, la diga di Alcantara, che forma il più grande lago artificiale d’Europa. Marcello, nel frattempo, ha imparato che esistono situazioni geologiche in cui la sua diga non è adatta: soprattutto quando ci sono terreni deboli, compressibili, che si possono deformare in modo differenziale. Per questo il 4 febbraio 1954 deposita un brevetto, per proteggere i diritti su una diga a blocchi di calcestruzzo. I blocchi cubici, di 4 metri di lato, si gettano uno sopra l’altro a formare una pila verticale e quindi, accostando più pile di altezza diversa, si genera uno sperone di forma triangolare. A distanza di 12 centimetri, si getta in blocchi un altro sperone. Nell’intercapedine si dispone uno strato di ghiaia, che funziona come lubrificante e consente agli speroni di adattarsi ai cedimenti del terreno senza rompersi. Le foto di cantiere di queste dighe, con i blocchi enormi uno sull’altro, sembrano foto di scena di un film sulle piramidi o di un documentario sulla costruzione delle mura ciclopiche di una qualche città antica. Una volta terminato il cuore della diga, Marcello nasconde accuratamente i blocchi dietro i due paramenti: quello di monte, contro l’acqua, è ricoperto da lamiere di ferro purissimo per garantire la tenuta ed evitare la corrosione; quello di valle, la “facciata” della diga, è disegnato con un bugnato modernissimo, inciso da profonde bisellature. A guardarlo da lontano appare come una scheda perforata, di quelle che cominciavano a girare per i primi calcolatori di quegli anni, che, in una sorta di linguaggio macchina, ci parla di pressione, capienza, energia. Insomma, passione per la storia, visionarietà e capacità di progettare oggetti di design alla scala del paesaggio: Claudio Marcello è un perfetto portavoce della Scuola italiana di Ingegneria.
Tra il 1954 e il 1958, Marcello realizza 4 dighe a blocchi di calcestruzzo, 3 in Italia e 1 all’estero, in America latina. La prima è quella sul torrente Plàtani, che forma il lago Fanaco in Sicilia, completata nel 1955. Non lontana, la diga del Pozzillo sul Salso, utilizzata anche come serbatoio per l’irrigazione di tutta la piana di Catania. Anche qui un documentario Incom, diretto da Vittorio Gallo, ne segue passo passo la costruzione: un filmato dalla poetica neo-realista, attento ai volti e agli sguardi degli operai, che descrive senza filtri il duro cantiere e anche le pericolose acrobazie cui sono costretti gli uomini sui paramenti di monte e di valle. Nel frattempo si avvia anche la costruzione della diga di Pian Palù, in provincia di Trento, che sbarra l’alveo del torrente Noce, ultimata a novembre 1958. Poi la diga sul Rio Bianco in Perù.

A sinistra: blocchi di calcestruzzo durante il cantiere della diga di Pian Palù nella Valle del Noce, 1954-1959. A destra: diga di Pozzillo sul fiume Salso in blocchi di calcestruzzo, 1956-1958.

Ma presto tutto si ferma. Con la nazionalizzazione, la storia dell’energia idroelettrica in Italia cambia, gli investimenti s’interrompono: non è più il tempo, neanche per Marcello, di costruire una diga l’anno. Gli anni del boom delle dighe in Italia sono gli stessi in cui la Scuola italiana di Ingegneria diventa la più famosa del mondo: sono gli anni in cui operano Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi, Silvano Zorzi, in cui si costruisce l’Autostrada del Sole, in cui si svolgono le Olimpiadi di Roma. Sono gli anni dei grandi successi dell’ingegneria strutturale italiana, raccontati tra l’altro da una famosa mostra che si tiene a New York nell’estate del 1964 e che celebra l’ingegneria mondiale del XX secolo. In quella mostra, in cui sono esposte moltissime opere italiane, ci sono anche 25 grandi dighe di tutto il mondo, che rappresentano l’eccellenza, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Svizzera alla Francia; ben 4 sono “Made in Italy” e sono firmate da Claudio Marcello: le dighe di Ancipa, di Malga Bissina, di Pozzillo e della Valle di Lei. Insomma, le dighe di Claudio Marcello contribuiscono in quegli anni a dare luce all’Italia e a farla splendere nel mondo.
Questo articolo è stato pubblicato in l’industria delle costruzioni 476 – Rassegna italiana. Intervenire sull’esistente – novembre/dicembre 2020

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